I biocarburanti nel mondo del riscaldamento e delle energie rinnovabili

La definizione di Biocombustibile dell’enciclopedia Treccani è la seguente: “Combustibile ottenuto mediante il trattamento di residui organici non fossili di natura vegetale o animale”. La materia prima (residui organici non fossili) è quindi qualche cosa che in natura esiste in maniera abbondante ed a buon prezzo. Questa materia prima è detta “biomassa”.

Secondo la DIRETTIVA CE 2009/28/CE, invece, si intende per biomassa "la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani".

Si va dal cippato per le stufe a pellets, di cui si è parlato nello scorso speciale, ai prodotti dell’industria zootecnica, allo sfalcio dei terreni agricoli e anche dei terreni non utilizzati. In poche parole qualsiasi cosa che fermenti può produrre un biocarburante e del resto anche i carburanti di origine fossile sono una ulteriore trasformazione di prodotti biologici. Ovviamente non tutte le biomasse hanno la medesima resa e soprattutto non fermentano nella stessa maniera o alla stessa velocità o ancora non hanno la stessa resa in termini di prodotto finale.

I biocarburanti maggiormente prodotti sono: biogas (biometano), bioetanolo e biodiesel, ognuno dei quali viene prodotto a partire da diverse biomasse e secondo tecnologie diverse tra loro ed ovviamente hanno anche utilizzi diversi.

La tabella seguente (fonte Itabia - Italian Biomass Association) chiarisce molto bene questi concetti:



Una menzione va infine fatta per i residui delle lavorazioni dei biocarburanti. Come si vedrà nel dettaglio si tratta per lo più di sostanze affatto inquinanti ed anzi reimpiegabili con profitto soprattutto come fertilizzanti.