Focus Efficienza Energetica

11.11.2021

La COP26 dichiara guerra al carbone, ma il gas naturale non potrà essere il combustibile “ponte” per la transizione energetica

Climate Analytics pone l’accento sulla questione del gas naturale: anch’esso inquina, ma le politiche energetiche si concentrano solo sulla decarbonizzazione

Tra il 2010 e il 2019 il gas naturale è stata la principale fonte di aumento delle emissioni globali di anidride carbonica, arrivando a ricoprire il 42%, e attualmente è responsabile di circa il 60% delle emissioni di metano provenienti dalla produzione di combustibili fossili e, secondo le previsioni, rappresenterà una grossa fetta delle emissioni inquinanti previste per il prossimo decennio.

Ma se il gas naturale non è così green come invece pare, perché si continua a fare la guerra solo al carbone? Domanda lecita da porsi, soprattutto in questi giorni in cui la COP26 sta riunendo i leader dei governi mondiali a Glasgow per discutere e adottare piani economici e strategie politiche per rispettare l’Accordo di Parigi, velocizzando la decarbonizzazione, impedendo l’aumento della temperatura globale oltre 1.5° e puntando sull’utilizzo delle energie rinnovabili.

Il problema è che il dibattito internazionale si sta concentrando solo sul carbone, ma anche il gas naturale è una risorsa energetica che inquina (e non poco), ed è per questo motivo che non può essere considerato un combustibile “ponte” per la transizione energetica. I governi, gli investitori e gli istituti finanziari dovrebbero trattarlo come il carbone, e stabilire un programma per ridurre progressivamente il suo ruolo nel mix energetico di tutti i paesi, per dismetterlo il prima possibile.

Secondo Bill Hare, CEO di Climate Analytics, organizzazione internazionale che si occupa di ricerche e analisi nel campo dei cambiamenti climatici e delle politiche energetiche per la salvaguardia del clima e per la sostenibilità energetica, il gas naturale starebbe diventando il nuovo carbone. La corsa all’eliminazione del carbone avrebbe permesso, in questi ultimi anni, all’industria del gas naturale di proliferare liberamente e velocemente, soprattutto in quei paesi che sono i più grandi produttori ed esportatori di questo combustibile.  

Le previsioni sull’utilizzo del gas naturale però ipotizzano che dovrebbe raggiungere il suo picco entro i prossimi dieci anni, per poi andare incontro ad un inevitabile declino grazie alle politiche e agli investimenti per lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Il report pubblicato da Climate Analytics sottolinea anche il problema dell’espansione del GNL, il gas naturale liquefatto, che è stato presentano al mondo come un’alternativa più pulita e sostenibile rispetto al carbone, ma che causa anch’esso molte emissioni inquinanti nella sua fase produttiva, insieme a perdite di metano; è chiaro quindi che anche la sua impronta carbonica non è così bassa come può sembrare.

Le critiche arrivano anche per i sistemi di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS) poiché, oltre ad essere una tecnologia incerta e costosa, contribuirebbero attivamente all’espansione dell’industria del gas a livello globale, e anche all’idrogeno blu, considerato anch’esso una tecnologia ponte fine a se stessa,  quando invece si dovrebbe puntare tutto sull’idrogeno verde.

Per raggiungere gli obiettivi climatici e di decarbonizzazione stabiliti al 2030 e al 2050 bisognerebbe trattare il gas naturale come il carbone, stabilendo nuove politiche industriali ed economiche che ne disincentivino l’espansione.

Oltre alle questioni  sull’utilizzo (più o meno giusto) del gas naturale come combustibile “ponte” per la transizione energetica, si affianca il dibattito internazionale relativo al prezzo del gas naturale, che continua ad aumentare a causa delle diminuzioni delle forniture dalla Russia. Un grosso problema per l’Italia, che attualmente fa molto affidamento sul gas naturale, poiché le sue importazioni coprono circa 2/3 del fabbisogno energetico del paese.