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16.03.2022

AAA cercasi alternative al gas russo. Nucleare, carbone o rinnovabili?

L’Europa e i leader degli Stati membri stanno cercando una soluzione per far fronte alla mancanza di gas russo con soluzioni che tutelino i consumatori nell’immediato e che, a lungo termine, salvino il mercato energetico. Tra le proposte nucleare, carbone e rinnovabili, ma sembra che nessuna di queste possa essere un’alternativa valida e stabile

Dalla metà dell’anno scorso il prezzo del gas naturale ha cominciato a salire gradualmente, ed è aumentato vertiginosamente con lo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia.

I paesi europei stanno già subendo (e senza dubbio continueranno a farlo anche per i prossimi anni) le drammatiche conseguenze economiche di questo conflitto, la cui risoluzione sembra essere ancora lontana: l’Europa infatti dipende fortemente dalla Russia perché, ormai da decenni, è il suo principale fornitore di gas, ma le sanzioni messe in atto dall’occidente stanno portando al crollo di questa condizione, rimasta generalmente stabile per molto tempo.

Per far fronte alla futura mancanza di gas russo i leader politici del vecchio continente stanno valutando piani e investimenti che prevedano una progressiva autonomia energetica degli Stati membri, che però sembra tutt’altro che vicina.

Se da un lato si stanno cercando delle soluzioni immediate, che permettano di far fronte alla mancanza di risorse energetiche per il prossimo inverno evitando un ulteriore innalzamento delle bollette per il riscaldamento, dall’altro non si può dimenticare che è necessario valutare delle strategie a lungo termine che consentano di risolvere i problemi energetici dell’Europa. L’Europa cerca alternative al gas russo: presi in considerazione nucleare, rinnovabili e carbone

Il dibattito internazionale e nazionale di queste ultime settimane sta sollevando diverse questioni legate al mix energetico europeo e alle fonti alternative al gas: si parla molto delle rinnovabili, che sono economiche ma non immediate e prevedibili, ma anche di nucleare (soprattutto in Francia, dove ci sono diverse centrali) e di carbone.  

La Germania infatti non esclude l’opzione di mantenere attive le centrali di carbone, ipotesi fatta anche da Draghi, ma le prospettive di un ritorno al carbone per sopperire alla carenza di gas stanno provocando l’aumento delle quotazioni di questa risorsa.

Secondo una recente analisi di Rystad Energy, società indipendente di ricerca energetica e business intelligence che diffonde dati e analisi sul settore energetico, i prezzi del carbone non sono mai così alti da più di duecento anni: se verso la fine di febbraio 2022 si attestavano intorno ai 186 dollari, adesso hanno raggiunto i 462 dollari a tonnellata, e non si esclude che entro la fine dell’anno arriveranno anche a superare i 500 dollari.

Si tratta di aumenti incredibilmente alti, che colpiranno l’Europa allo stesso modo in cui stanno facendo i prezzi folli del gas, di cui però per il momento si parla ancora poco, poiché ci si concentra su gas e petrolio.

Il problema però è sempre lo stesso: purtroppo, il più grande fornitore di carbone termico è proprio la Russia. L’anno scorso, infatti, ha fornito ai paesi europei 36 milioni di tonnellate di carbone termico, che equivalgono al 70% delle importazioni totali fatte dall’Europa nel 2021.

Le recenti politiche climatiche avviate dal governo centrale europeo e dalle singole nazioni hanno fatto in modo di rinunciare sempre di più ai combustibili fossili per salvaguardare l’ambiente, e per questo la domanda di carbone ha visto un notevole calo negli ultimi 10 anni.  Nonostante ciò, i generatori di energia a carbone in Europa sono diventati sempre più dipendenti dal carbone russo, e la quota di mercato della Russia è cresciuta notevolmente nel tempo.

Con i mercati che sono diventati sempre più tirati e nervosi da inizio marzo, e visto che il carbone è già stato preso in considerazione da diversi paesi come alternativa al gas, secondo le ricerche di Rystad Energy sembra che i buyers che operano nei mercati dell’Atlantico e del Pacifico si stiano già allontanando dal carbone russo, alla ricerca di nuovi fornitori.

L’Europa non è certamente un mercato papabile: il carbone “buono” presente nel vecchio continente è già stato estratto molti anni fa, e non è rimasto praticamente nulla, per questo si è sempre optato per il carbone importato, che ha prezzo e qualità migliori rispetto alle produzioni nazionali europee.

Uno dei principali centri europei per l’estrazione del carbone era la Germania, che però non produce più carbone bituminoso o antracite: le ultime due miniere di carbone sono state chiuse nel 2018 dopo anni di sussidi finanziari, necessari a sopperire gli alti costi di produzione associati ai profondi strati carboniferi e alle difficili condizioni per l’estrazione del carbone. L'estrazione di lignite è ancora effettuata ma è una risorsa che ha basso potere calorifero; per questo il carbone importato è fondamentale per soddisfare le esigenze delle numerose centrali termoelettriche, che sono progettate per bruciare combustibili con maggiore potere calorifico.

Attualmente la Polonia è il più grande produttore di carbone in Europa: qui circa il 70% della produzione totale di energia proviene dal carbone, in quanto si estrae molta lignite e carbonfossile, che viene anche esportato in altri paesi. Ma anche la Polonia ha aumentato le importazioni di carbone termico dalla Russia, in quanto è più economico della produzione locale dalle miniere sotterranee, che sono molto profonde e difficili da lavorare, e produce maggiore energia.

Alla ricerca di nuovi fornitori di gas: Colombia, Sudafrica e Stati Uniti tra i principali candidati

Stando all’analisi di Rystad Energy, è altamente probabile che i buyers del settore energetico si rivolgeranno alla Colombia e al Sudafrica per far fronte alla crisi del carbone.

La produzione di carbone colombiano, che è quasi tutta esportata, ha visto una buona ripresa nel 2021, dopo il forte calo del 2020 causato dalla pandemia, con 59,6 milioni di tonnellate nel 2021 rispetto ai 49,3 dell'anno precedente, anche se si trova ancora ben al di sotto della soglia di quasi 80 milioni di tonnellate che aveva raggiunto prima del Covid-19. Secondo le previsioni di mercato, la produzione di carbone in Colombia aumenterà ancora quest'anno, rendendo potenzialmente disponibili ulteriori 10 milioni di tonnellate per il mercato dell’esportazione.

Un’altra opzione potrebbe essere il Sudafrica, anche se le esportazioni di carbone locali sono state al di sotto delle quantità pianificate per diversi anni: nel 2021 sono scese sotto i 60 milioni di tonnellate, poiché la rete ferroviaria è stata gravemente ostacolata dal furto di cavi di rame. Se il paese fosse in grado di risolvere questi problemi , potrebbe arrivare ad produrre 70-75 milioni di tonnellate di carbone e diventare un nuovo fornitore strategico per l’Europa.

Sostenuta da prezzi solidi e da una forte domanda, la produzione di carbone negli Stati Uniti, sia per il consumo interno che per l’esportazione, sta assistendo a una recente ripresa dopo diversi anni di declino.

Infatti, i produttori di carbone termico americani erano sulla buona strada per esportare circa 36 milioni di tonnellate l'anno scorso, un aumento del 30% rispetto al 2020. Il problema è che poche di queste risorse arrivano all’Europa, perché vengono destinati principalmente ai mercati cinesi, che sarebbero più “appetibili”.

L’Italia e la dipendenza dal gas russo: si cercano soluzioni, ma si arriverà a un accordo?

L’Italia è probabilmente il paese che più soffrirà delle conseguenze legate alla mancanza di risorse energetiche dalla Russia: i dati del Ministero della Transizione Ecologica mostrano che nel 2020 il 43,3% del gas è arrivato dalla Russia, il 22,8% dall’Algeria, l’11% dalla Norvegia, dal Qatar il 10,6%, e il 6,7% dalla Libia. Le sanzioni previste dai paesi occidentali indubbiamente mirano a colpire la Russia, nella speranza che faccia dietro-front, ma è chiaro che inevitabilmente genereranno danni anche alle economie europee.   

Il governo italiano ha già avviato dei provvedimenti per contenere l’impatto sulle bollette dei consumatori: è stato emanato il Decreto Energia, che dovrebbe limitare l’ulteriore aumento dei costi per gas ed elettricità, e il presidente Draghi ha dichiarato che come soluzione a breve termine anche in Italia si potrebbe eventualmente valutare il ricorso delle centrali a carbone, anche se per adesso l’obiettivo della decarbonizzazione rimane una questione inderogabile. In Italia ci sono sette centrali ma, stando a quanto prevede il PNIEC, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, dovrebbero essere dismesse o convertite entro la fine del 2025.

Un’altra alternativa, che però ha da tempo ricevuto il no della popolazione italiana, potrebbe essere il nucleare, ma bisogna riconoscere che oltre all’ostilità dei cittadini, anche le lunghe tempistiche e gli alti costi per il ricorso all’energia dalla fusione rendono quest’opzione alquanto impraticabile (e forse ormai inutile).

L’ultima chance è rappresentata dalle energie rinnovabili: costano poco e non danneggiano l’ambiente, ma ci sono ancora molti problemi per lo sviluppo di questi sistemi, legati ai tempi troppo lunghi per le autorizzazioni e la realizzazione degli impianti.

Per questo Elettricità futura ha richiesto di autorizzare entro giugno la realizzazione di “60 GW di nuovi impianti rinnovabili che faranno risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, ovvero il 20% del gas importato. O, in altri termini, oltre 7 volte rispetto a quanto il Governo stima di ottenere con l'aumento dell'estrazione di gas nazionale” ha dichiarato il presidente dell’associazione Agostino Re Rebaudengo invitando il Governo ad attuare un'azione straordinaria sugli iter autorizzativi insieme alle Regioni.

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