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30.11.2015
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Luci e ombre sulla conferenza internazionale COP21 di Parigi

A Parigi più di 150 capi di stato riuniti sotto l’egida dell’ONU per cercare di contrastare il cambiamento climatico e ridurre le emissioni di CO2.
Quando, diversi anni fa, si cominciò a parlare di effetto serra, si veniva additati come dei fanatici ambientalisti e sembrava che il problema fosse solo un fatto di coscienza individuale, come se riguardasse sempre un “altro”.

Oggi, invece, non vi sono più dubbi: né sul cambiamento climatico in corso, né sulle cause che l’hanno scatenato, né sugli effetti catastrofici che potrebbe avere sul nostro pianeta e sulla vita quotidiana di tutti noi, non solo a Venezia o sui ghiacciai perenni.

I dubbi restano, forti, su come risolvere il problema. I potenti (e i meno potenti) della terra si riuniranno infatti, a partire da oggi, a Parigi, per COP21, la conferenza internazionale contro il cambiamento climatico organizzata dall’ONU.

Le questioni sul tavolo sono davvero tante: a partire dal fondo di 100 miliardi di dollari l'anno (Green Climate Fund), che i paesi ricchi dovrebbero destinare a quelli in via di sviluppo. Il fondo, al momento, ha coperture ipotetiche solo per il 10%.

Se è vero, infatti, che l’Europa è un esempio da seguire sulla lotta al cambiamento climatico, la vera sfida si gioca con le economie emergenti: paesi a cui spesso è difficile spiegare perché dovrebbero seguire un modello di sviluppo più costoso e difficile.

L’altra grande questione è quella della Cina, che ha firmato un protocollo con gli Stati Uniti nel settembre dello scorso anno: i primi impegnandosi a ridurre le emissioni di almeno il 20%, i secondi del 30%. Salvo poi scoprire che in realtà i dati cinesi - giusto per distanziarsi da qualsiasi stereotipo - erano stati “taroccati” in eccesso, per partire da una quota più alta e quindi, di conseguenza, arrivare ad una riduzione reale minore.

E l’Italia? Da un lato l’esplosione delle rinnovabili, che ha ridotto sensibilmente la produzione di energia da fonti fossili ma al contempo ha aumentato le già carissime bollette elettriche con il riversamento degli oneri dovuti agli incentivi. Dall’altro i dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente usciti oggi, che attribuiscono alla penisola e in particolare alla pianura Padana il triste primato di decessi causati dall’inquinamento dell’aria.

Insomma una conferenza, quella cominciata oggi a Parigi, tutt’altro che semplice, non solo per le ombre gettate dal terrorismo e dalle proteste, ma anche e soprattutto perché un accordo che sia veramente risolutivo e che impedisca di superare la soglia catastrofica dell’aumento di 2 gradi rispetto alla temperatura media dell’epoca pre-industriale (oggi siamo a +0,8°) sembra davvero molto difficile.

Certo, alcuni segnali positivi ci sono: negli ultimi anni gli investimenti dedicati alla salvaguardia del clima sono aumentati globalmente di quasi il 20% e la tanto vituperata Unione Europea in questo cambiamento epocale sta facendo da apripista, con degli obiettivi al 2020 già quasi raggiunti nei fatti e un’ambiziosa riduzione delle emissioni dell’80% al 2050, obiettivi che, se potevano sembrare impossibili, si stanno in realtà avvicinando.

Mai come in questo caso, però, la sfida è globale (l’Europa produce solo il 10% delle emissioni globali) ma gli interessi - seppur in modo sotteso dovrebbero essere comuni - sono in realtà spesso confliggenti.

Per il momento, infatti, immaginare un’economia realmente low-carbon, o meglio, immaginare di imporre un’economia realmente low-carbon a livello globale, sembra davvero un idealismo utopico, piuttosto che un obbiettivo realmente a portata di mano, sia per i paesi ricchi, sia per i paesi in via di sviluppo. Anche se, quindi, le conseguenze di un mancato accordo potrebbero essere catastrofiche, sembra che ancora “i potenti” non percepiscano fino in fondo il rischio.


Foto: ANSA