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L’idrogeno blu è davvero così sostenibile come crediamo?
Lo studio americano che mostra le reali emissioni di gas serra dell’idrogeno blu tramite una nuova analisi del suo ciclo di vita

Da diverso tempo l’idrogeno è considerato la chiave per la transizione energetica, ma come si sa è una risorsa energetica che ha diverse sfumature, di differente natura. L’idrogeno più utilizzato a livello globale, soprattutto in Europa e in Nord America, è il cosiddetto idrogeno grigio, che viene prodotto mediante combustibili fossili, generando elevate emissioni di anidride carbonica.
Il suo opposto è l’idrogeno verde: è l’idrogeno sostenibile, che si ottiene utilizzando fonti energetiche rinnovabili e processi produttivi che evitano le emissioni di CO2 nell’atmosfera, come l’elettrolisi e la pirolisi di biomassa. Attualmente, pur essendo l’unica “sfumatura” di idrogeno totalmente decarbonizzata, l’idrogeno verde trova un impiego limitato nel campo dell’energia, poiché è più costoso rispetto ai combustibili fossili, anche se il progressivo abbassamento dei costi delle energie rinnovabili giocherà un ruolo importante nella futura riduzione dei costi per questa tipologia di idrogeno.
Di nascita relativamente recente è invece l’idrogeno blu, che si pone “a metà” tra l’idrogeno grigio quello verde. Si tratta dell’idrogeno che viene prodotto dai combustibili fossili (principalmente gas naturale) tramite un impianto che utilizza sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 prodotta durante il processo di produzione dell’idrogeno. Ma si tratta di un processo produttivo complesso, e non completamente decarbonizzato.
Ma uno studio americano, recentemente pubblicato da Robert W. Howarth della Cornell University (Ithaca, New York) e da Mark Z. Jacobson (Stanford University, California), dimostra come l’idrogeno blu non sia così sostenibile come invece si può pensare.
I ricercatori hanno esaminato le emissioni di gas serra durante il ciclo di vita dell’idrogeno blu, tenendo conto sia delle emissioni di anidride carbonica che di quelle fuggitive di metano. Quello pubblicato sulla rivista scientifica Energy Science & Engineering è uno dei primi studi sull’idrogeno blu che tiene conto delle emissioni di metano associate alla produzione di gas naturale, la risorsa base nel processo di produzione di idrogeno blu. Si stima che il metano sia responsabile del 25% del riscaldamento globale verificatori negli ultimi decenni, ed è per questo che è necessario ridurne drasticamente le emissioni entro il 2030 per limitare l’innalzamento della temperatura globale a 1,5°, come previsto dall’Accordo di Parigi.
Dallo studio è emerso che le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di idrogeno blu sono piuttosto elevate, non tanto per le emissioni di anidride carbonica ma principalmente a causa dell’alto quantitativo di emissioni fuggitive di metano. Secondo le analisi, le emissioni di anidride carbonica dell’idrogeno blu sono infatti inferiori del 9-12% rispetto a quelle dell’idrogeno grigio. Ma sono le emissioni fuggitive di metano ad essere superiori, a causa del maggiore uso di gas naturale per alimentare il processo di cattura del carbonio.
Dai risultati ottenuti gli studiosi hanno stabilito che l’idrogeno blu emette il 20% di gas serra in più rispetto alla combustione di gas naturale (o carbone) per il riscaldamento, e il 60% in più rispetto alla combustione di gasolio per il riscaldamento, presupponendo la cattura e lo stoccaggio della CO2.
Ecco perché gli autori della ricerca mettono in dubbio l’efficacia dell’idrogeno blu come risorsa da utilizzare per contrastare i cambiamenti climatici. Sebbene l’idrogeno venga considerato la risorsa chiave per la transizione energetica e la decarbonizzazione dei sistemi energetici, l’idrogeno blu sembra configurarsi come una soluzione buona ma temporanea, da utilizzare nel breve-medio periodo. Può essere un ottimo punto di partenza per mettere le basi per avviare e consolidare l’utilizzo dell’idrogeno in diversi settori, specialmente quello dell’energia, ma è importante tenere presente che non si tratta di una risorsa completamente sostenibile.
Il suo opposto è l’idrogeno verde: è l’idrogeno sostenibile, che si ottiene utilizzando fonti energetiche rinnovabili e processi produttivi che evitano le emissioni di CO2 nell’atmosfera, come l’elettrolisi e la pirolisi di biomassa. Attualmente, pur essendo l’unica “sfumatura” di idrogeno totalmente decarbonizzata, l’idrogeno verde trova un impiego limitato nel campo dell’energia, poiché è più costoso rispetto ai combustibili fossili, anche se il progressivo abbassamento dei costi delle energie rinnovabili giocherà un ruolo importante nella futura riduzione dei costi per questa tipologia di idrogeno.
Di nascita relativamente recente è invece l’idrogeno blu, che si pone “a metà” tra l’idrogeno grigio quello verde. Si tratta dell’idrogeno che viene prodotto dai combustibili fossili (principalmente gas naturale) tramite un impianto che utilizza sistemi di cattura e stoccaggio della CO2 prodotta durante il processo di produzione dell’idrogeno. Ma si tratta di un processo produttivo complesso, e non completamente decarbonizzato.
Ma uno studio americano, recentemente pubblicato da Robert W. Howarth della Cornell University (Ithaca, New York) e da Mark Z. Jacobson (Stanford University, California), dimostra come l’idrogeno blu non sia così sostenibile come invece si può pensare.
I ricercatori hanno esaminato le emissioni di gas serra durante il ciclo di vita dell’idrogeno blu, tenendo conto sia delle emissioni di anidride carbonica che di quelle fuggitive di metano. Quello pubblicato sulla rivista scientifica Energy Science & Engineering è uno dei primi studi sull’idrogeno blu che tiene conto delle emissioni di metano associate alla produzione di gas naturale, la risorsa base nel processo di produzione di idrogeno blu. Si stima che il metano sia responsabile del 25% del riscaldamento globale verificatori negli ultimi decenni, ed è per questo che è necessario ridurne drasticamente le emissioni entro il 2030 per limitare l’innalzamento della temperatura globale a 1,5°, come previsto dall’Accordo di Parigi.
Dallo studio è emerso che le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di idrogeno blu sono piuttosto elevate, non tanto per le emissioni di anidride carbonica ma principalmente a causa dell’alto quantitativo di emissioni fuggitive di metano. Secondo le analisi, le emissioni di anidride carbonica dell’idrogeno blu sono infatti inferiori del 9-12% rispetto a quelle dell’idrogeno grigio. Ma sono le emissioni fuggitive di metano ad essere superiori, a causa del maggiore uso di gas naturale per alimentare il processo di cattura del carbonio.
Dai risultati ottenuti gli studiosi hanno stabilito che l’idrogeno blu emette il 20% di gas serra in più rispetto alla combustione di gas naturale (o carbone) per il riscaldamento, e il 60% in più rispetto alla combustione di gasolio per il riscaldamento, presupponendo la cattura e lo stoccaggio della CO2.
Ecco perché gli autori della ricerca mettono in dubbio l’efficacia dell’idrogeno blu come risorsa da utilizzare per contrastare i cambiamenti climatici. Sebbene l’idrogeno venga considerato la risorsa chiave per la transizione energetica e la decarbonizzazione dei sistemi energetici, l’idrogeno blu sembra configurarsi come una soluzione buona ma temporanea, da utilizzare nel breve-medio periodo. Può essere un ottimo punto di partenza per mettere le basi per avviare e consolidare l’utilizzo dell’idrogeno in diversi settori, specialmente quello dell’energia, ma è importante tenere presente che non si tratta di una risorsa completamente sostenibile.