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Impianti a biomassa e biogas, illegittime le disposizioni del Veneto
Con una sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le restrizioni imposte dal Veneto sulle distanze di installazione degli impianti a biomassa e biogas
La disposizione regionale veneta che stabilisce distanze minime rispetto alle residenze civili per gli impianti a biomassa e biogas è illegittima, lo ha stabilito la Corte Costituzionale con una sentenza del 5 aprile 2018.
La Legge Regionale Veneta n. 30 del 2016 impone all’art. 111 dei limiti di distanza prestabiliti per gli impianti per la produzione energetica alimentati da biogas e biomasse: tra gli impianti coinvolti da questa norma sono quindi annoverate le vasche di caricamento delle biomasse e quelle di stoccaggio dell’effluente, gli impianti di combustione e gassificazione delle biomasse.
Al comma 2 la norma stabilisce che gli impianti in questione debbano essere collocati alle seguenti distanze:
“a) per gli impianti sopra i 1.000 kW elettrici di potenza:
Con la sentenza n. 69 del 5 aprile 2018 la Corte Costituzionale ha stabilito che tale comma eccede le competenze regionali in quanto a questi enti territoriali è solamente consentito individuare “aree e siti non idonei” per specifiche tipologie e taglie di impianti.
In particolare è stato sottolineato come alle Regioni non sia concesso imporre limiti generali, come ad esempio le distanze minime imposte dal Veneto, perché ciò avrebbe la conseguenza di contrastare gli obiettivi nazionali ed europei di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili.
In presenza di esigenze di tutela della salute, paesaggistico-ambientale e dell’assetto urbanistico del territorio, le Regioni possono dare l’avvio a un’istruttoria che valuti la possibile non idoneità di determinate aree all’installazione di impianti di specifiche tipologie e dimensioni.
Nel caso specifico la Corte Costituzionale ha stabilito che: “La soluzione legislativa adottata dalla Regione, nello stabilire in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla disciplina statale, non garantisce il rispetto di questi princìpi fondamentali e non permette un’adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti”, giudicando così il comma 2 dell’art 111 illegittimo.
Con la stessa sentenza è stato inoltre giudicato costituzionalmente illegittimo anche il comma 5 dell’art 111 della norma: esso prevede che “I manufatti e le installazioni relativi agli impianti energetici di cui al comma 1 possono essere autorizzati qualora conformi alle prescrizioni contenute negli elaborati di valutazione ambientale strategica e pareri connessi relativi al piano energetico regionale, al piano regionale di tutela e risanamento dell’atmosfera e, ove presenti, ai piani energetici comunali.”
Un orientamento che secondo la Corte contrasta esplicitamente con le linee guida nazionali, e in particolare con il paragrafo 14.5. che stabilisce come sia possibile avviare e raggiungere una possibile conclusione favorevole al procedimento autorizzatorio anche se ci si trova in presenza di quote minime di incremento di energia elettrica o nel caso di superamento di eventuali limitazioni di tipo programmatico contenute nel PER (Piano energetico regionale).
In seguito alla sentenza 5 aprile 2018 n. 69, il cui testo è disponibile in fondo alla pagina, sono quindi dichiarati illegittimi i commi 2 e 5 dell’art 111 della legge regionale 30/2016 che impone il rispetto di distanze minime nella collocazione degli impianti a biomassa e biogas.
La Legge Regionale Veneta n. 30 del 2016 impone all’art. 111 dei limiti di distanza prestabiliti per gli impianti per la produzione energetica alimentati da biogas e biomasse: tra gli impianti coinvolti da questa norma sono quindi annoverate le vasche di caricamento delle biomasse e quelle di stoccaggio dell’effluente, gli impianti di combustione e gassificazione delle biomasse.
Al comma 2 la norma stabilisce che gli impianti in questione debbano essere collocati alle seguenti distanze:
“a) per gli impianti sopra i 1.000 kW elettrici di potenza:
1) distanza minima reciproca rispetto alle residenze civili sparse: 150 metri;
2) distanza minima reciproca rispetto alle residenze civili concentrate (centri abitati): 300 metri;
2) distanza minima reciproca rispetto alle residenze civili concentrate (centri abitati): 300 metri;
b) per gli impianti sopra i 3.000 kW elettrici di potenza:
1) distanza minima reciproca rispetto alle residenze civili sparse: 300 metri;
2) distanza minima reciproca rispetto alle residenze civili concentrate (centri abitati): 500 metri.”
2) distanza minima reciproca rispetto alle residenze civili concentrate (centri abitati): 500 metri.”
Con la sentenza n. 69 del 5 aprile 2018 la Corte Costituzionale ha stabilito che tale comma eccede le competenze regionali in quanto a questi enti territoriali è solamente consentito individuare “aree e siti non idonei” per specifiche tipologie e taglie di impianti.
In particolare è stato sottolineato come alle Regioni non sia concesso imporre limiti generali, come ad esempio le distanze minime imposte dal Veneto, perché ciò avrebbe la conseguenza di contrastare gli obiettivi nazionali ed europei di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili.
In presenza di esigenze di tutela della salute, paesaggistico-ambientale e dell’assetto urbanistico del territorio, le Regioni possono dare l’avvio a un’istruttoria che valuti la possibile non idoneità di determinate aree all’installazione di impianti di specifiche tipologie e dimensioni.
Nel caso specifico la Corte Costituzionale ha stabilito che: “La soluzione legislativa adottata dalla Regione, nello stabilire in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto dei luoghi in sede procedimentale, distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla disciplina statale, non garantisce il rispetto di questi princìpi fondamentali e non permette un’adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti”, giudicando così il comma 2 dell’art 111 illegittimo.
Con la stessa sentenza è stato inoltre giudicato costituzionalmente illegittimo anche il comma 5 dell’art 111 della norma: esso prevede che “I manufatti e le installazioni relativi agli impianti energetici di cui al comma 1 possono essere autorizzati qualora conformi alle prescrizioni contenute negli elaborati di valutazione ambientale strategica e pareri connessi relativi al piano energetico regionale, al piano regionale di tutela e risanamento dell’atmosfera e, ove presenti, ai piani energetici comunali.”
Un orientamento che secondo la Corte contrasta esplicitamente con le linee guida nazionali, e in particolare con il paragrafo 14.5. che stabilisce come sia possibile avviare e raggiungere una possibile conclusione favorevole al procedimento autorizzatorio anche se ci si trova in presenza di quote minime di incremento di energia elettrica o nel caso di superamento di eventuali limitazioni di tipo programmatico contenute nel PER (Piano energetico regionale).
In seguito alla sentenza 5 aprile 2018 n. 69, il cui testo è disponibile in fondo alla pagina, sono quindi dichiarati illegittimi i commi 2 e 5 dell’art 111 della legge regionale 30/2016 che impone il rispetto di distanze minime nella collocazione degli impianti a biomassa e biogas.
