I refrigeranti: dagli idrocarburi ai sostituti sintetici, evoluzione e criticità
I fluidi refrigeranti sono l’elemento base necessario per il trasferimento di calore all’interno di un circuito frigorifero. Nel corso della storia si sono utilizzate diverse tipologie di fluidi refrigeranti, anche detti frigorigeni, con risultati diversi sulle prestazioni dei circuiti e sull’ambiente.
Durante la prima metà dell’Ottocento, su intuizione di Perkins e Harrison, l’etere etilico fu il primo fluido utilizzato nelle macchine frigorifere a compressione. Venne però abbandonato in fretta in quanto si trattava di un prodotto infiammabile e tossico, oltre che poco affidabile nel medio e lungo periodo.
Nella seconda metà del secolo si introdussero nel mercato altri fluidi come l’anidride carbonica, l’ammoniaca e il cloruro di metile, che diedero una spinta indiscutibile all’evoluzione delle tecnologie refrigeranti e delle macchine frigorifere a compressione di vapore. Questi fluidi di origine naturale tuttavia portavano ancora con sé dei problemi legati alla sicurezza, dal momento che erano a loro volta infiammabili e tossici.
Refrigeranti sintetici, la novità del 1900
Il settore ebbe una spinta innovativa a partire dagli anni ‘30 del 1900, quando vennero introdotti i refrigeranti di natura sintetica (R11, R113, R21, R22, ecc.) ottenuti dal metano e dall’etano, per la sostituzione totale o parziale degli atomi di idrogeno con quelli di cloro, di fluoro e a volta bromo. Questi cloro-fluoro-carburi divennero i refrigeranti predominanti grazie alle loro caratteristiche termofisiche e alla loro stabilità e sicurezza. L’unica eccezione ai refrigeranti sintetici che vennero abbandonati fu l’R717 (ammoniaca) che continuò ad essere utilizzato in alcune applicazioni industriali.
Il ruolo dei gas CFC fu però messo in dubbio negli ultimi anni del 1900, quando divenne evidente il grosso problema ambientale che essi provocano. La riduzione dell’ozono ed il conseguente riscaldamento climatico per effetto serra hanno reso imperativa la sostituzione di questi prodotti con altri fluidi, spingendo da un lato le aziende a valutare le possibili alternative e dall’altro gli installatori a studiare le soluzioni necessarie per il retrofit degli impianti esistenti, in modo da poterli adattare all’utilizzo dei nuovi refrigeranti.
Oltre ai CFC, negli anni del dopoguerra il settore si era affidato anche ai gas HCFC (idroclorofluorocarburi), che, seppur meno pericolosi, avevano comunque un impatto negativo sull’ozono.
L’industria e la ricerca hanno però continuato a lavorare allo sviluppo di soluzioni più sostenibili, individuando negli HFC un’alternativa efficace. Questi prodotti, più stabili chimicamente, risultano anche più sicuri a livello tossicologico e ambientale. I gas refrigeranti HFC che negli ultimi decenni hanno avuto maggior applicazione sono l’R134A, l’R407C e l’R410A.
Global Warming Potential, nuovo focus sull’impatto ambientale
Dopo un cambiamento di paradigma, che ha spostato il focus dalla distruzione dell’ozono all’impatto dei refrigeranti sul riscaldamento della terra, si è sviluppato il concetto di GWP (Global Warming Potential), un indicatore che è direttamente stato associato a ciascuna tipologia di gas HFC.
Gli HFC infatti, a differenza di altri gas di origine naturale, arrivano ad avere valori HFC molto elevati e quindi con elevata incidenza sull’effetto serra. Il settore, spinto fortemente dalla normativa internazionale, ha quindi iniziato a cercare alternative con livello di GWP inferiore (in media pari a 1), trovando una valida alternativa nelle idrofluorolefine (HFO).
Gli HFO tuttavia non sono la risposta a tutti i problemi. Sono infatti refrigeranti che non trovano applicazione in tutti i settori di utilizzo del mercato (nello specifico non possono essere applicati per la surgelazione alimentare) ed hanno un’efficienza energetica sensibilmente inferiore rispetto agli HFC.
Considerate queste criticità, i player del settore della refrigerazione e i legislatori, che hanno il fine principale di tutelare l’ambiente, continuano ad interrogarsi e a studiare soluzioni che possano essere sempre più efficaci e valide per ogni contesto applicativo. In quest’ottica si inserisce la riforma della normativa europea F-gas, che apre la strada all’applicazione (obbligatoria) dei gas di origine naturale.