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10.05.2021

Eni punta a realizzare il più grande hub per la cattura e lo stoccaggio di CO2 al largo di Ravenna

Emissioni di CO2: da problema a risorsa con la cattura e lo stoccaggio
I giacimenti offshore di gas esauriti che si trovano nell’Adriatico potrebbero essere utilizzati per stoccare milioni di tonnellate di anidride carbonica prodotta dalle industrie italiane. È questa la proposta lanciata da Eni, che vorrebbe realizzare il più grande hub a livello mondiale per la cattura e lo stoccaggio di CO2 al largo di Ravenna; una soluzione che ha un potenziale di stoccaggio di 7 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno entro il 2030, e che potrebbe arrivare a 50 milioni di tonnellate annuali entro il 2050.

Secondo il progetto, per il quale è stato stimato un investimento di 1 miliardo di euro, l’anidride carbonica emessa dalle industrie sarebbe trasportata tramite delle condotte a 2 o 3 piattaforme poste sopra i giacimenti esauriti; lì verrebbe compressa fino a diventare liquida, per poi essere iniettata a 3000/4000 metri di profondità.

Un’idea che spaventa già gli ambientalisti, che ritengono si tratti di una soluzione che permetterà al settore industriale di continuare ad utilizzare i combustibili fossili invece di puntare alla decarbonizzazione, e che inoltre hanno manifestato preoccupazione per gli aspetti legati al rischio di perdite di gas.
Eni invece sostiene che i rischi di fuoriuscita di gas non siano un pericolo, in quanto quei giacimenti hanno contenuto metano per milioni di anni, sono protetti da materiali impermeabili e in sessant’anni di attività non hanno mai riscontrato problemi sismici.

L’ impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica al largo di Ravenna servirebbe alle industrie della Pianura Padana, che da sole immettono metà dei 70-80 milioni di tonnellate di anidride carbonica emessi complessivamente in Italia in un anno. In questo modo, il progetto agevolerebbe ulteriormente le imprese a smaltire l’anidride carbonica, che sostengono costi sempre più alti per le emissioni che producono a causa del sistema ETS UE, che segue il principio della limitazione e dello scambio di emissioni: un sistema di quote che fissa un massimo di emissioni di gas che possono essere prodotte, riducendolo nel tempo con lo scopo di diminuire progressivamente l’inquinamento da gas serra.

L’utilizzo di impianti di CSS (Carbon Capture and Storage) per la cattura e lo stoccaggio della Co2, così come di quelli di CCU (Carbon Capture and Utilization) per il riutilizzo, è una soluzione strategica e indispensabile per arrivare agli obiettivi stabiliti dagli Accordi di Parigi per limitare l’aumento della temperatura globale e per la decarbonizzazione dell’industria. Queste tecnologie possono trasformare ciò che è un limite al raggiungimento di questi importanti traguardi per contrastare i cambiamenti climatici in una risorsa che si può tradurre in un’occasione di sostenibilità ambientale e crescita economica per il territorio e le imprese.

In quest’ottica, Eni ha già avviato diversi progetti nel campo della tecnologia  CCS:  per la cattura sta sviluppando sistemi che utilizzano liquidi ionici che sono più efficienti di quelli solitamente utilizzati, e per lo stoccaggio sta ricorrendo ad un approccio integrato per studiare la cattura, il trasporto, le interazioni tra fluido e roccia monitoring dello stoccaggio geologico dell’anidride carbonica.

Lo scorso ottobre Eni ha ricevuto la licenza per collaborare alla realizzazione di un impianto CCS su giacimenti offshore esauriti al largo della baia di Liverpool, con capacità di stoccaggio stimata inoltro ai 195 milioni di tonnellate. Un progetto finanziato al 50% dal governo britannico, realizzato e gestito dall’ente italiano e da un consorzio di aziende locali, che si occuperanno della cattura dell’anidride carbonica mentre Eni si occuperà della fase di trasporto e stoccaggio.