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Biocombustibili dalle alghe? Presto possibile ottimizzando l’efficienza del processo di assorbimento della luce
Le alghe come biocombustibili? Presto sarà realtà, grazie a un importante studio svolto da scienziati italiani per ottimizzare l'assorbimento della luce da parte delle alghe.

Le piante hanno imparato a non sprecare energia, e l’obiettivo, ad oggi, è quello di insegnare lo stesso meccanismo anche alle alghe, in modo da renderle efficienti per la produzione di biocombustibili.
A condurre la ricerca, pubblicata sul portale dedicato alla natura Nature Plants, un team di scienziati del dipartimento di biotecnologie dell’Università di Verona, del dipartimento di fisica del Politecnico di Milano e del CNST dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
La ricerca, sostanzialmente, ha approfondito le prime fasi della fotosintesi clorofilliana, processo che consente alle piante di crescere assorbendo CO2 che viene trasformata in zuccheri grazie all’energia della luce, ma che produce anche l’ossigeno per tutti gli altri organismi.
Gli scienziati hanno analizzato l’assorbimento della luce e la sua trasformazione in energia chimica nell’ambito del processo di fotosintesi, che vede la presenza di due fotoni che collaborano, ma che sono dotati di capacità diverse di assorbire la luce.
Come spiegato dal direttore del team veronese Roberto Bassi, infatti, l’antenna del primo fotone sembra essere molto più efficiente dell’antenna del secondo, tanto che le sue caratteristiche strutturali sembrano capaci di immagazzinare l’energia e fornirla al fotosistema quando in grado di utilizzarla, senza disperderla.
Per verificare questa ipotesi, gli studiosi hanno prodotto piante in cui manca il sistema antenna del primo fotone, per capire come si comporta la pianta. Il primo fotone, per rispondere a questa mancanza, utilizza l’antenna del secondo fotone, diventando ancora più efficiente rispetto alla sua condizione naturale in cui è penalizzato in termini di efficienza.
Per questo stesso motivo, le alghe unicellulari più primitive sono molto meno efficienti, perché utilizzano antenne molto simili nei due fotoni e perché gli organismi unicellulari hanno a disposizione la stessa luce per entrambi i fotoni, a differenza di quelli pluricellulari, nei quali la qualità della luce cambia a seconda dello strato cellulare in cui si trovano i fotosistemi.
Obiettivo degli scienziati, dunque, è quello di trovare un modo per far sì che anche le alghe unicellulari abbiano un sistema antenna per il primo fotone simile a quello delle piante, fattore che consentirebbe loro di crescere anche a forti concentrazioni cellulari, nei fotobioreattori industriali, nei quali la filtrazione della luce è simile a quella che si trova nelle foglie delle piante.
Le alghe, dunque, possono imparare a lavorare come le piante, per garantire un rendimento maggiore e per far sì che un loro maggiore sfruttamento consenta la produzione di cibo e biocombustibili per il futuro.
Fonte: Adnkronos
A condurre la ricerca, pubblicata sul portale dedicato alla natura Nature Plants, un team di scienziati del dipartimento di biotecnologie dell’Università di Verona, del dipartimento di fisica del Politecnico di Milano e del CNST dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
La ricerca, sostanzialmente, ha approfondito le prime fasi della fotosintesi clorofilliana, processo che consente alle piante di crescere assorbendo CO2 che viene trasformata in zuccheri grazie all’energia della luce, ma che produce anche l’ossigeno per tutti gli altri organismi.
Gli scienziati hanno analizzato l’assorbimento della luce e la sua trasformazione in energia chimica nell’ambito del processo di fotosintesi, che vede la presenza di due fotoni che collaborano, ma che sono dotati di capacità diverse di assorbire la luce.
Come spiegato dal direttore del team veronese Roberto Bassi, infatti, l’antenna del primo fotone sembra essere molto più efficiente dell’antenna del secondo, tanto che le sue caratteristiche strutturali sembrano capaci di immagazzinare l’energia e fornirla al fotosistema quando in grado di utilizzarla, senza disperderla.
Per verificare questa ipotesi, gli studiosi hanno prodotto piante in cui manca il sistema antenna del primo fotone, per capire come si comporta la pianta. Il primo fotone, per rispondere a questa mancanza, utilizza l’antenna del secondo fotone, diventando ancora più efficiente rispetto alla sua condizione naturale in cui è penalizzato in termini di efficienza.
Per questo stesso motivo, le alghe unicellulari più primitive sono molto meno efficienti, perché utilizzano antenne molto simili nei due fotoni e perché gli organismi unicellulari hanno a disposizione la stessa luce per entrambi i fotoni, a differenza di quelli pluricellulari, nei quali la qualità della luce cambia a seconda dello strato cellulare in cui si trovano i fotosistemi.
Obiettivo degli scienziati, dunque, è quello di trovare un modo per far sì che anche le alghe unicellulari abbiano un sistema antenna per il primo fotone simile a quello delle piante, fattore che consentirebbe loro di crescere anche a forti concentrazioni cellulari, nei fotobioreattori industriali, nei quali la filtrazione della luce è simile a quella che si trova nelle foglie delle piante.
Le alghe, dunque, possono imparare a lavorare come le piante, per garantire un rendimento maggiore e per far sì che un loro maggiore sfruttamento consenta la produzione di cibo e biocombustibili per il futuro.
Fonte: Adnkronos