Focus Eventi e formazione
Questo articolo ha più di 3 anni
Agli Stati generali della Green Economy la fotografia di un paese sempre più avanzato
Agli Stati Generali della Green Economy la fotografia di un paese sempre più verde, dove le imprese Green hanno resistito meglio alla crisi, esportano di più e hanno prospettive di crescita migliori.
Il peso delle imprese Green nell’economia italiana è sempre più importante, ma non solo: le imprese Green hanno resistito meglio alla crisi, aumentando i fatturati e l’export e si apprestano a diventare il motore della ripresa del paese.
Se avessimo scritto una frase del genere solo pochi anni fa, quando abbiamo iniziato l’avventura di ExpoClima.net, ci avrebbero preso per pazzi visionari. Eppure, oggi, agli Stati Generali della Green Economy (ancora in corso all’interno di una sala gremita di Rimini Fiere), a testimoniare questo cambiamento epocale c’era non solo Edo Ronchi, presidente del Consiglio Nazionale della Green Economy, ma anche il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e l’Europarlamentare Simona Bonafè.
La relazione sullo stato della Green Economy in Italia, alla quale hanno contribuito anche ENEA, Ispra e Censis, sancisce non tanto un punto di arrivo per il nostro sistema-paese, ma piuttosto un cambio di marcia, fotografando una situazione che, certo, presenta ancora molti chiaro-scuri, lasciando tuttavia ampie prospettive di ottimismo.
La relazione divide le imprese in Core Green, ovvero quelle che hanno fatto della salvaguardia dell’ambiente il loro core business, e imprese Go Green, ovvero quelle che hanno adottato modelli di business “verdi”, pur non operando nel settore ambientale.
Il primo dato significativo è che le imprese Green cominciano ad avere una presenza significativa in tutti i settori, le Core Green sono circa il 27% del totale, quelle Go Green il 14,5%. Il secondo dato che emerge dallo studio, però, è forse quello più interessante: durante la crisi degli ultimi anni, le imprese Green che hanno aumentato il loro fatturato sono state il 22% del totale, contro il 10% delle imprese “tradizionali”, fotografando, in un certo senso, un futuro che è, certo, ancora in divenire, ma sembra ormai dettato.
Nel maggio del 2015 le aspettative di crescita delle imprese Green sono salite al 29% rispetto al 21% del 2014. Una delle ragioni è che in media esportano il 26% del totale, contro il 12% delle imprese non Green.
Le imprese Green sono quindi una realtà consolidata e in crescita, ma i decisori politici ne sono consapevoli?
A sentire l’intervento del Ministro Galletti si direbbe di si, anche se poi, purtroppo, agli annunci spesso non corrispondono i fatti: “stiamo andando in maniera deciso verso l’obiettivo del 2020, ma dobbiamo imparare molto dalla storia delle rinnovabili in Italia. Ci sono state cose buone e cose cattive. Oggi noi abbiamo una produzione da rinnovabili molto elevata, ma i dati negativi sono due: abbiamo cominciato quel percorso senza avere una filiera produttiva italiana e gran parte di quegli incentivi andavano in mano a fondi e società che facevano speculazioni finanziarie”.
Continua, il ministro: “abbiamo il 30% delle emissioni di CO2 dal settore industriale, il 30% dal riscaldamento, e l’8% dall’agricoltura. I settori sui quali dobbiamo insistere sono questi”.
Peccato, però, che ancora si parli unicamente di incentivi alle rinnovabili elettriche, mentre alle rinnovabili termiche, che già hanno una filiera di eccellenza nell’industria italiana, non sia stata dedicata nemmeno una parola.
Se avessimo scritto una frase del genere solo pochi anni fa, quando abbiamo iniziato l’avventura di ExpoClima.net, ci avrebbero preso per pazzi visionari. Eppure, oggi, agli Stati Generali della Green Economy (ancora in corso all’interno di una sala gremita di Rimini Fiere), a testimoniare questo cambiamento epocale c’era non solo Edo Ronchi, presidente del Consiglio Nazionale della Green Economy, ma anche il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e l’Europarlamentare Simona Bonafè.
La relazione sullo stato della Green Economy in Italia, alla quale hanno contribuito anche ENEA, Ispra e Censis, sancisce non tanto un punto di arrivo per il nostro sistema-paese, ma piuttosto un cambio di marcia, fotografando una situazione che, certo, presenta ancora molti chiaro-scuri, lasciando tuttavia ampie prospettive di ottimismo.
La relazione divide le imprese in Core Green, ovvero quelle che hanno fatto della salvaguardia dell’ambiente il loro core business, e imprese Go Green, ovvero quelle che hanno adottato modelli di business “verdi”, pur non operando nel settore ambientale.
Il primo dato significativo è che le imprese Green cominciano ad avere una presenza significativa in tutti i settori, le Core Green sono circa il 27% del totale, quelle Go Green il 14,5%. Il secondo dato che emerge dallo studio, però, è forse quello più interessante: durante la crisi degli ultimi anni, le imprese Green che hanno aumentato il loro fatturato sono state il 22% del totale, contro il 10% delle imprese “tradizionali”, fotografando, in un certo senso, un futuro che è, certo, ancora in divenire, ma sembra ormai dettato.
Nel maggio del 2015 le aspettative di crescita delle imprese Green sono salite al 29% rispetto al 21% del 2014. Una delle ragioni è che in media esportano il 26% del totale, contro il 12% delle imprese non Green.
Le imprese Green sono quindi una realtà consolidata e in crescita, ma i decisori politici ne sono consapevoli?
A sentire l’intervento del Ministro Galletti si direbbe di si, anche se poi, purtroppo, agli annunci spesso non corrispondono i fatti: “stiamo andando in maniera deciso verso l’obiettivo del 2020, ma dobbiamo imparare molto dalla storia delle rinnovabili in Italia. Ci sono state cose buone e cose cattive. Oggi noi abbiamo una produzione da rinnovabili molto elevata, ma i dati negativi sono due: abbiamo cominciato quel percorso senza avere una filiera produttiva italiana e gran parte di quegli incentivi andavano in mano a fondi e società che facevano speculazioni finanziarie”.
Continua, il ministro: “abbiamo il 30% delle emissioni di CO2 dal settore industriale, il 30% dal riscaldamento, e l’8% dall’agricoltura. I settori sui quali dobbiamo insistere sono questi”.
Peccato, però, che ancora si parli unicamente di incentivi alle rinnovabili elettriche, mentre alle rinnovabili termiche, che già hanno una filiera di eccellenza nell’industria italiana, non sia stata dedicata nemmeno una parola.
